Radio, TV e web si sono improvvisamente riempiti di rievocazioni del Mondiale ’82, quello vinto dall’Italia di Bearzot in Spagna. Un trionfo che ci ha cambiato per sempre
Silenziosa, senza un disegno specifico, si è improvvisamente diffusa nell’atmosfera un’inarrestabile nostalgia mundial: stazioni radio, canali TV, siti web, tutti quanti si stanno lasciando andare alla fiera dei ricordi, riportandoci con la mente a quei magici giorni in cui l’Italia del CT Enzo Bearzot conquistò il mondiale di Spagna, regalando al Paese un’ondata di emozioni e di felicità che ancora pare non essersi smorzata.
Ma perché quel mondiale è stato così speciale? A pensarci bene, da allora la nostra Nazionale ne ha vinto anche un altro, con Lippi allenatore nel 2006, oltre all’Europeo di Mancini dello scorso anno. Eppure, nessuna di queste vittorie è entrata così in profondità nell’immaginario collettivo e nell’identità del nostro Paese, come quella dell’82.
Buttiamo lì qualche sensazione.
Mondiale ’82, quarant’anni fa il trionfo degli azzurri
Innanzitutto, era un altro calcio. Un calcio dove Bruno Conti si presentava in ciabatte e Graziani con l’asciugamano nelle interviste dopo-partita.
Un calcio dove i calciatori avevano i baffi e nessun tatuaggio sul corpo, senza pettinature strane, senza pose da superstar. Scirea era uno di noi, che rientrava dritto a casa dopo la partita e difficilmente si sarebbe fatto un selfie pure al giorno d’oggi.
Lui e Dino Zoff festeggiarono la vittoria del mondiale concedendosi una sigaretta in camera, oggi invece si affittano stadi interi e bus scoperti per festeggiare pure l’onomastico e far vedere al mondo il frutto del proprio conto in banca.
L’Italia del Mundial, quanta nostalgia
Ed era un’altra TV, ma neanche per colpa della TV. Provateci, sintonizzatevi su Rai Sport una di queste sere e trovate le differenze. Telecronache più pacate, meno parole e più spazio agli effetti sonori, meno bulimia di nozioni sulla zia del terzino che fa la diagonale.
E le sovraimpressioni: non in italiano, non in inglese, ma nella lingua del Paese ospitante. Era anche quello il senso di una manifestazione internazionale: sentire un po’ il sapore di un’altra cultura, anche nelle scritte scadenti che apparivano sullo schermo, che non ci dicevano se Rossi avesse corso per 6.540 metri soprattutto vicino al limite dell’area, ma che lui era solo e semplicemente il “goleador”, quello che ha segnato.
No, non è colpa della TV, ma di un eccesso di cultura e di informazioni nella comunicazione di oggi, uno degli effetti collaterali della globalizzazione, in un mondo che è sempre meno Babele ma che rischia di avere sempre lo stesso, stucchevole sapore.
Tutti figli di Bearzot, il tormentone di quell’estate
E siamo cambiati noi, ovviamente. Che avessimo quattro, quattordici o quarant’anni, in quel 1982, il ricordo di quei giorni magici, di quelle sensazioni inaspettate e piene di gioia, non ci lascerà mai, rendendoci sempre cedevoli a questo irresistibile gioco della nostalgia. Una nostalgia mundial.
Marco Sicolo – Bgame News