Addio Sinisa Mihajlovic. Breve ricordo di un calciatore, un guerriero, un uomo schietto. La guerra, la carriera e quei micidiali gol su punizione.
La nuvola di parole che in queste ore circonda il ricordo di Sinisa Mihajlovic, adesso che la malattia se l’è portato via, ne restituisce tre, tre parole più ricorrenti delle altre. “Duro”. “Uomo vero”. E “punizioni”, ovviamente.
Mihajlovic era un duro, certo. E come poteva essere altrimenti.
Aveva visto l’orrore delle bombe, nelle guerre che sconvolsero la sua Jugoslavia negli anni ’90. Aveva visto gli amici diventare nemici da un giorno all’altro. Lo zio, croato, che voleva ammazzare suo padre, serbo.
E sì, quella durezza ti rimane. Rimase nel suo stile di gioco, rude, spesso provocatorio nei confronti dell’attaccante avversario. “Prendeva più ginocchia che palloni”, lo sfotteva il suo vecchio allenatore Zeman. “In campo avevo bisogno di un nemico”, diceva Sinisa, “facevo arrabbiare gli avversari per arrabbiarmi io stesso e caricarmi”.
Duro, guerriero, a volte persino scorretto, si potrebbe dire. Ma cattivo, questo no. Ed è per questo che oggi lo si sente definire da più parti come uomo vero.
Sinisa Mihajlovic, dalla guerra ai campi da calcio
Vero, perché schietto, diretto, anche quando la verità fa male, anche quando non sta bene. Come quando omaggiò la “Tigre” Arkan dopo il suo assassinio, un miliziano che in guerra e anche prima si era macchiato dei crimini peggiori, dalla rapina al genocidio: “Ma io non rinnego un amico, anche se ha fatto cose orrende”. Arkan, al secolo Zeljko Raznatovic, tra le mille cose fu anche capo-ultrà della Stella Rossa, club in cui Mihajlovic giocò agli inizi della sua carriera.
Un uomo vero, che se gli chiedevi se avrebbe fatto riposare un certo giocatore perché stanco, ti rispondeva che può sentirsi stanco solo chi si alza all’alba per andare a lavorare e guadagnarsi uno stipendio per arrivare a fine mese.
“Vero”, perché non ce n’è uno, tra avversari, compagni di squadra o calciatori da lui allenati, che oggi non lo rimpianga sul serio.
Embed from Getty ImagesI suoi micidiali calci di punizione
Tutto Mihajlovic – la famiglia, l’amore, la guerra, la sua filosofia di vita – lo ritrovate in una splendida intervista rilasciata alla Gazzetta dello Sport nel febbraio del 2019, quando ancora non sapeva della malattia che lo avrebbe consumato. Oltre quelle parole, non serve aggiungere altro.
Qui, ora, noi dobbiamo occuparci della terza parola. Di quelle punizioni che segnava quando eravamo ragazzi, che erano già allora leggenda, e che alla fine saranno ciò per cui Sinisa sarà ricordato.
Perché al di là dell’emozione, dello sgomento, del dispiacere di oggi, al di là del suo carattere e del suo vissuto, Sinisa Mihajlovic sarà per sempre un’icona del calcio mondiale.
Le sue punizioni, le sue devastanti, chirurgiche, imprendibili e irripetibili punizioni rimarranno per sempre uno dei gesti tecnici più belli e riconoscibili di questo sport.
Guarda i suoi 28 gol su punizione (un record) realizzati in Serie A. E sì, ci sono anche quei tre gol realizzati su punizione contro la Sampdoria, tutti in una partita (un altro record; li trovate dal minuto 3’19” del video).
Marco Sicolo – Bgame News