Quarant’anni fa moriva in un tragico incidente uno dei piloti di Formula Uno più amati dai tifosi della Ferrari. Vita e imprese di Gilles Villeneuve
Ci sono piloti il cui valore va oltre quello che dicono gli albi d’oro, e senza dei quali la Formula Uno non sarebbe la stessa.
Gilles Villeneuve è uno di questi, un’autentica leggenda delle corse, il cui ricordo ancora oggi regala un tuffo al cuore ai tifosi della Ferrari, che si innamorarono di lui alla fine degli anni ’70.
Il mito di Gilles Villeneuve e della sua Ferrari
Villeneuve era un pilota atipico, perché imparò a guidare non sulle auto ma sulle motoslitte del suo Québec. Tenuta di strada incerta e visibilità azzerata dalle nuvole di neve e ghiaccio che si alzavano lungo il percorso, fecero di lui una sorta di lupo di mare capace di trovare la rotta anche nelle condizioni di gara più ostiche.
Una volta guidò per buona parte di una gara con l’alettone anteriore spezzato, che si piegò all’insù togliendogli quasi tutta la visuale e lasciandogli visibile solo una parte della pista, su cui lui si orientò scorgendo le tracce di pneumatico lasciate dalle altre vetture.
L’Aviatore, lo chiamavano, non senza una punta di scherno, perché una volta passato dalla neve all’asfalto, gli ci volle un po’ di tempo per frenare la sua spericolatezza, e un paio di volte volò – letteralmente – sopra le altre monoposto, purtroppo pure con conseguenze serie, travolgendo fatalmente, un giorno, due persone a bordo pista.
Così sono le corse, purtroppo, e uno che lo sapeva bene era Enzo Ferrari, che in mezzo a tanti che avrebbero voluto rispedire Gilles in Canadà, lo difese, lo confermò, ne volle fare un simbolo della Ferrari e del motorismo tutto.
Dalle motoslitte alla Formula Uno
In Formula Uno ci arrivò nel ’77 grazie a un’altra testa matta, quel James Hunt che l’anno prima aveva soffiato il titolo a Niki Lauda e che da Villeneuve fu battuto in una gara di Formula Atlantic in Québec, a Trois-Rivières.
Fu lui a consigliarlo alla McLaren, che gli diede l’occasione di esordire in campionato, ma che non lo confermò dopo l’unica gara disputata a luglio, a Silverstone, pure se il canadese fece intravedere le proprie qualità.
E infatti, appena un mese dopo, Gilles vestiva la tuta rosso Ferrari, per incominciare un sogno, una storia che avrebbe segnato in modo indelebile l’immaginario di qualsiasi tifoso del cavallino.
Villeneuve e Ferrari, un amore a prima vista
Passare nel giro di pochi giorni da Lauda a Villeneuve deve essere stato destabilizzante, per chi ha avuto la fortuna di esserci. Lauda, raffinato calcolatore, che pure di coraggio ne aveva a quintali, aveva appena polemicamente abbandonato la Rossa a campionato in corso, non senza aggiudicarsi il titolo con largo anticipo.
Per Villeneuve, invece, era la grande occasione. All’inizio volava, come dicevamo, ma pian piano adeguò il suo istinto alle regole del circuito, e col passare del tempo affinò le sue qualità, scalando le gerarchie all’interno della Scuderia.
Scudiero del sudafricano Scheckter nel ’79, in quello che per lungo tempo sarebbe stato l’ultimo titolo conquistato da un pilota Ferrari, partì coi favori del pronostico negli anni successivi, ottenendo però solo a sprazzi podi e vittorie, senza riuscire a lottare per il titolo.
L’anno buono avrebbe potuto essere il 1982, ma è proprio quello in cui tutto ebbe fine. In crisi nella vita coniugale, proprio lui che girava nei paddock con tutta la famiglia al seguito, Villeneuve litigò anche in seno alla Ferrari, per colpa del suo compagno di squadra, Didier Pironi, che gli soffiò la vittoria a Imola nonostante gli ordini di scuderia fossero altri.
E poi Zolder, le capriole fatali della sua Ferrari, e la triste malinconia di una vita che si trasforma in leggenda.
Oggi Villeneuve è ancora sinonimo di combattività, spericolatezza, spirito da corridore puro. È sinonimo di spettacolo, di Ferrari. E grazie a suo figlio Jacques, dal 1997, è sinonimo anche di campione del mondo.
Marco Sicolo – Bgame News