L’allenatore bresciano ha mantenuto la parola e ha raggiunto i suoi ragazzi dello Shakhtar Donetsk a Istanbul. Le sensazioni, le speranze, il bisogno di guardare avanti: il Tour della Pace dello Shakhtar
C’è un’immagine da cui non si può fare a meno di iniziare. Ed è un’immagine che fa male. È quella dei 176 giocattoli disposti sui seggiolini dello stadio di Atene, dove la squadra dello Shakhtar Donetsk ha disputato la prima amichevole del suo Tour della Pace.
Quei giocattoli sono in memoria dei bambini che la guerra in Ucraina si è già portata via. Basterebbe questo per capire, o provare a immaginare, quale sia lo stato d’animo di chi vive in quelle zone, di chi si è visto piovere in testa le bombe da un giorno all’altro.
De Zerbi e lo Shakhtar in Tour per la Pace
Quella dello Shakhtar è solo una delle tante storie che ci consentono di avvicinarci con la mente e con gli occhi a uno scenario che in realtà percepiamo come sufficientemente lontano da noi.
Chi lo ha visto da vicino è Roberto De Zerbi, allenatore bresciano arrivato proprio quest’anno sulla panchina degli arancioni, una delle squadre ucraine più importanti.
De Zerbi era rientrato in Italia a marzo, dopo un viaggio lunghissimo in treno e in pullman verso il confine, e poi su un volo da Bucarest, insieme agli altri membri italiani del suo staff tecnico.
Ma non è tornato per restare. Lo ha sempre detto, prima di tutto ai suoi ragazzi.
Ed ora ha mantenuto la promessa. Con la squadra ospitata in Turchia, ad Istanbul, grazie a un permesso speciale del presidente Zelensky, De Zerbi non ha esitato un attimo a raggiungerla insieme al suo staff, per guidare gli allenamenti, ma soprattutto per manifestare la sua vicinanza e solidarietà.
Siamo qui come amici, dice, più che come allenatori. Un gesto da uomo, un gesto umano di cui solo in queste situazioni estreme si riesce a cogliere il senso, la grandezza.
L’amichevole con l’Olympiacos e l’omaggio al proprio Paese
Un permesso speciale, dicevamo. Già, perché in teoria tutti i ragazzi dello Shakhtar sono potenzialmente arruolabili, ed anzi avrebbero potuto già essere assegnati a compiti di supporto logistico in favore dei cittadini in stato di necessità.
A tutti gli uomini maggiorenni, fino a sessant’anni di età, è fatto divieto di espatrio dall’Ucraina, in questo momento.
L’esenzione accordata ad alcuni sportivi – non solo ai calciatori – è anche un mezzo per permettere al Paese di parlare al mondo, attraverso le gesta dei propri atleti.
Non disputeranno incontri ufficiali, questo è ovvio, ma gireranno per l’Europa per portare un messaggio di pace. Negli scorsi giorni erano in Grecia contro l’Olympiacos, dove i giocatori hanno vestito maglie con i nomi delle città sotto assedio.
Poi andranno in Polonia contro il Legia, ancora in Turchia con il Fenerbahce, e poi a Spalato, in Croazia.
Shakhtar Donetsk, le parole di Dario Srna
Già, la Croazia. Da lì proviene Dario Srna, direttore sportivo del club e bandiera della squadra, con 15 anni di militanza nel team da calciatore.
Srna è uno che, purtroppo, di guerra ha già sentito parlare. “Da piccolo sentivo le bombe”, ricorda, ritornando al periodo del conflitto in ex Jugoslavia, a inizio anni ’90. “Quando ho sentito le sirene a Kiev, è stato un trauma. Ho avuto paura, mi sono tornati i brutti ricordi, tutte quelle sensazioni che non riesci mai a scrollarti veramente di dosso”.
Racconta di essere tornato a casa, ora, più per rassicurare la sua famiglia, che per mettersi al sicuro.
E anche lui, oggi, è insieme ai suoi ragazzi per far sentire la sua presenza, per non lasciarli soli con i loro spettri.
Il futuro sportivo dell’Ucraina
Lo Shakhtar che si è ritrovato in Turchia non è al completo, e non lo sarà più, perché agli stranieri del gruppo (soprattutto brasiliani) è stata data la possibilità di trovarsi un’altra sistemazione, lontano dalla guerra, lontano anche dall’Europa.
Qualcuno l’ha colta, qualcun altro ha preferito rimanere insieme al gruppo, senza abbandonare la nave proprio nel momento del bisogno.
Giocheranno per la pace e si alleneranno, come sta facendo anche la Dinamo Kiev a Bucarest, perché c’è da tenersi in forma per un appuntamento sportivo, quello spareggio di giugno contro il Galles che potrebbe consentire all’Ucraina l’accesso ai Mondiali in Qatar di fine anno.
Chissà che non si escogiti qualcosa per farla partecipare a prescindere dall’esito di quella partita. Chissà se quella partita si disputerà, in effetti, adesso che si naviga a vista su tutti i fronti.
Ma non è questo che conta, ora.
Il legame tra lo Shakhtar e la propria città
Dopo l’invasione della Crimea nel 2014, lo Shakhtar è diventato un club itinerante, anzi nomade, verrebbe da dire. Donetsk è uno dei centri principali della regione del Donbass, al centro delle mire russe.
Per motivi di sicurezza, il club si trasferì immediatamente a ovest del Paese, ospitato dalla città di Leopoli, per poi traslocare ancora, negli anni seguenti, prima a Kharkiv e poi nella capitale Kiev, dove la squadra si trovava al momento dell’invasione russa dello scorso febbraio.
Il resto è una storia di trincee, di paure, di bombardamenti e di fughe. Di incertezza per il futuro personale, delle proprie famiglie, del proprio Paese.
Di una cosa sono certi, però: lo Shakhtar non rinnegherà mai le proprie origini, qualunque sia il destino della città. “Possono mettere qualsiasi bandiera nella nostra città, ma lo Shakhtar sarà sempre di Donetsk”, rivendica Srna. “È qualcosa che niente e nessuno potrà mai cambiare”.
Marco Sicolo – Bgame News