Di Maria, l’altro eroe del Mondiale argentino si racconta, ricordando i giorni in cui era difficile anche arrivare al campo di allenamento
Nove chilometri. Questa era la distanza che correva tra la casa del piccolo Angel Di Maria e il campo di allenamento del Rosario Central, la squadra che aveva messo gli occhi addosso a quel ragazzo acerbo e magrolino (el Fideo, lo chiamavano, “lo spaghetto”), ma già capace di fare grandi cose con il pallone tra i piedi.
Nessuno garantiva a papà Miguel e mamma Diana che l’inserimento nelle giovanili del Rosario avrebbe garantito un futuro da professionista a loro figlio. E nove chilometri erano tanti da fare ogni giorno, specialmente perché “non abbiamo una macchina”, come osservava il papà, mentre si puliva le mani nere per il carbone appena impacchettato, da vendere al mercato.
Ma mamma Diana sapeva che i dubbi di suo marito Miguel erano alimentati anche dal fatto che lui teneva al Newell’s, l’altra squadra della città, mentre lei, del Rosario Central era tifosissima.
“Non c’è problema”, disse lei, “agli allenamenti ce lo porto io”.
Di Maria, dai campetti di periferia alla Coppa del Mondo
E per riuscire in questa impresa, Diana ricorse a “Graziella”. Che non era una sua amica, ma la bicicletta pieghevole che oggi non si vede quasi più, ma solo qualche decennio fa era uno dei mezzi di trasporto più diffusi al mondo.
Solo che Graziella doveva trasportare anche Evelin, la sorellina di Angel, che non poteva rimanere da sola a casa. Fu papà Miguel, ormai rassegnato, a ritagliare i bordi del cestino anteriore della bici, trasformandolo in un nuovo posto a sedere.
Angel Di Maria oggi è diventato grande, ed è campione del mondo con l’Argentina. Ma non dimentica certo quei giorni: “Immaginatevi la scena. Una donna su una vecchia bicicletta arrugginita, che pedala lungo tutto la città, con un ragazzino seduto dietro e una bimba sul davanti, con in più il borsone, le scarpette, qualche merendina. Su per le colline, giù per le discese, attraverso quartieri pericolosi. Sotto la pioggia, al buio: non importava, mia madre continuava a pedalare, ogni santo giorno, qualsiasi cosa succedesse”.
Embed from Getty ImagesLa carriera e i gol nelle finali più importanti
Così nasce un campione. Dall’amore della famiglia, ma anche dalla capacità di affrontare le difficoltà. “Un giorno l’allenatore mi rimproverò davanti a tutti per non aver provato a saltare per colpire la palla di testa, contro un difensore. Volevo sprofondare. Non so dove trovai la forza di ripresentarmi il giorno dopo, ma lì rimasi stupito. I compagni mi lanciavano apposta la palla alta, e i difensori aspettavano che imparassi a colpire. Avevano capito le mie difficoltà e mi stavano aiutando. Non l’ho mai dimenticato”.
Di lì a poco, sarebbero arrivate le prime soddisfazioni, quelle vere. Ma anche nel calcio professionistico, non era mica tutto rose e fiori. “Giocavamo nella Coppa Libertadores, il torneo più importante del Sudamerica. Avevamo una partita in Colombia e… ci fecero salire su un aereo cargo! Ci sistemarono dei materassi, ci diedero delle cuffie per il rumore. Chiusero il portellone e rimanemmo al buio. Per otto ore di viaggio!”
Qualche tempo dopo, un altro aereo, uno di quelli comodi, lo portò finalmente in Europa, acquistato dal Benfica: “I primi mesi furono duri. Mio padre rimase con me, e la sera lo sentivo parlare al telefono in lacrime, dire a mia madre che le mancava. E neanche giocavo tanto. Le cose cominciarono a cambiare solo quando fui chiamato in Nazionale, per le Olimpiadi”.
Già. Le Olimpiadi del 2008, dove segnò il gol vittoria in finale. Come poi nella finale di Coppa America nel 2021, quando segnò al Brasile, o nella Finalissima del 2022, in gol contro l’Italia. E quel lungo viaggio, iniziato in bicicletta insieme a mamma, lo ha portato fino al gol in finale contro la Francia: dalla periferia, fino al tetto del mondo.
El relato en italiano que faltaba. El gol de Di Maria en la Final pic.twitter.com/9FeVzX6Iiu
— Eloísa ⭐️⭐️⭐️ (@EloinFirenze) December 26, 2022
Marco Sicolo – Bgame News