Le dichiarazioni di Dino Baggio e di altri ex giocatori sui farmaci nel calcio. Dopo la prematura scomparsa di alcuni campioni degli anni ‘90, cresce l’inquietudine dei loro colleghi
Ormai sembra un fiume in piena, destinato solo ad accrescersi di nuove testimonianze, giorno dopo giorno.
Il Vaso di Pandora relativo alle somministrazioni di farmaci ai calciatori degli anni ’90 è stato scoperchiato, con genuina e comprensibile inquietudine, da Dino Baggio, ex centrocampista della Nazionale, che a una Tv locale, nei giorni scorsi, ha dichiarato di volerne sapere qualcosa in più, rispetto alle sostanze che venivano somministrate, con regolarità, ai giocatori prima delle partite.
Dopo queste rivelazioni – che assomigliano più a un segreto di Pulcinella – è cominciato il seguito di ex calciatori che stanno uscendo allo scoperto per saperne di più, per comprendere, per un desiderio legittimo di non aver paura.
Farmaci nello sport, l’inquietudine degli ex calciatori
Non era doping, sostiene Dino Baggio; ma è certo che di sostanze e di farmaci ne prendevano. Il punto è che qui, ormai, non si tratta più di capire se le sostanze assunte dai giocatori alterassero le loro prestazioni sportive.
A distanza di tanti anni, il vero problema che rimane è quello relativo alla salute. E, su un piano più generale, a una cultura sportiva che deve necessariamente cambiare. Che in parte è già cambiata, negli anni, ma che ancora resiste, deleteria, per molti aspetti, immanente allo sport quando dello sport ne è invece la negazione, un parassita.
Da che mondo è mondo i farmaci servono a curare; e non c’era nulla da curare in atleti al meglio delle loro potenzialità. Non era doping? Perfetto. Ma di farmaci ne venivano somministrati in quantità, e per periodi di tempo, spropositate, ingiustificabili. Irresponsabili.
Embed from Getty ImagesDopo Dino Baggio, anche altri calciatori chiedono chiarezza
A Dino Baggio ha fatto subito eco Massimo Brambati, ex difensore di buon livello in Serie A: “Ho timore anch’io”: basterebbe già questo a far capire lo stato d’animo di giocatori, ex ragazzi e oggi uomini, che vedono davanti ai loro occhi tragedie come quelle di Mihajlovic e Vialli, e cominciano a farsi domande.
Prova a gettare acqua sul fuoco Roberto Mancini, CT della Nazionale, chiedendo di non trarre conclusioni affrettate. Malattie come quelle che hanno portato alla morte dei due ex giocatori capitano anche a chi non ha fatto l’atleta. Vero. Ma farsi domande è lecito. È un dovere.
Parlano in tanti, adesso, ed è un bene. Raducioiu, ex attaccante rumeno che ha giocato diversi anni nel nostro calcio. E Antonio Di Gennaro, centrocampista della Nazionale negli anni ’80, e Walter Sabatini, antico centrocampista degli anni ’70: tutti rivelano che i farmaci giravano, come no. Tutti rivelano un’inquietudine di fondo, che spaventa anche chi ascolta, e che deve insegnare a tutti qualcosa per il futuro.
“Prima della partita”, rivela Brambati, di cui dicevamo più sopra, “prendevo il Micoren come se fossero caramelle. All’epoca non era proibito, dopo qualche anno è diventato proibitissimo. Avevo 20 anni e mi dicevano che facendo una flebo avrei avuto una performance migliore. C’erano allenatori che, se non facevi la flebo, si arrabbiavano”.
Eccolo, il punto. La cultura. La facilità con cui si gioca sulla pelle degli atleti, per il risultato, per il denaro, per la gloria. Qualcosa che va cambiato: nelle scuole, nelle famiglie, nei circoli sportivi.
Ben venga una nuova consapevolezza degli atleti di allora, per insegnare agli atleti di oggi a dire, semplicemente: “No”.
Marco Sicolo – Bgame News