Lo scudetto con la Samp, i gol in Nazionale e la simbiosi con Roberto Mancini. E poi le vittorie con Juve e Chelsea: con Vialli se ne va un’icona del nostro calcio
Quando hai nove o dieci anni, non sono molti i giocatori che riconosci al primo sguardo, quando ne tiri fuori l’immagine da una bustina di figurine appena acquistata. Gianluca Vialli era uno di questi, anche se probabilmente non giocava nella tua squadra del cuore.
Perché, fuori Genova, non è che in genere si tifi per la Samp. Ma Vialli lo conoscevi, e lo tifavi pure, perché era forte, giocava in Nazionale, faceva tanti gol.
Lui e pochi altri, li identificavi subito. Come Roberto Mancini, altro totem blucerchiato, o Roberto Baggio in maglia viola; il biondo dell’Atalanta e il brasiliano della Roma. E quando trovavi Vialli nel pacchetto eri felice. Perché era una figurina importante, dava lustro al tuo album, e se per caso l’avevi come doppia, l’avresti scambiata contro almeno cinque figurine dell’amico di banco.
Vialli era l’attaccante di tutti, un bomber senza maglia, un idolo da imitare sognando di saper fare le sue stesse acrobazie.
Per questo, oggi, quella lacrima che cade nel nostro cuore bambino sprigiona tutta quell’eco, in un angolo vuoto fatto di anni che non tornano e di vita che sa farsi carogna.
Vialli, l’impresa scudetto con la Sampdoria
Gianluca Vialli è soprattutto l’attaccante a cui è legata una delle imprese storiche del calcio italiano, lo scudetto della Sampdoria del 1991.
Come glielo spieghi a un ragazzino di oggi cos’era il calcio di quegli anni? Riflettendoci, sono trent’anni che il campionato lo vincono solo in tre, se si eccettuano un paio d’anni a cavallo del 2000, quando il tricolore finì nella capitale. Trent’anni, tre squadre: Juve, Inter, Milan, sempre loro.
Negli anni ’80, invece, ci fu gloria prima per la Roma, poi per il Verona, e poi per il Napoli di Maradona. E, infine, il campionato successivo ai sogni magici di Italia ’90 regalò la meritata gloria a una squadra amata un po’ dappertutto, vuoi per quella maglia inconfondibile, vuoi per la freschezza della sua coppia di attaccanti così perfetti, così riconoscibili. I Gemelli del gol, li chiamavano: Mancini fantasista e Vialli goleador.
La magia di quel calcio, dopotutto, non è scomparsa; si è solo trasformata in qualcos’altro. Non può andare che così.
Embed from Getty ImagesLa Champions League con la Juve e i gol in Nazionale
Perse la Coppa dei Campioni con la Samp e la vinse con la Juventus, da capitano. Giocò due Mondiali in Nazionale e saltò il terzo, quello del 1994, per incomprensioni con l’allenatore. Capita, inutile cercare di capire adesso chi avesse ragione. Possiamo, al massimo, pensare a cosa avrebbe potuto essere la finale di Pasadena contro il Brasile, se al fianco di Baggio ci fosse stato uno come lui, e non altri onesti mestieranti che in effetti la disputarono. Ma sarebbe far torto a chi c’era, e soprattutto non aggiungerebbe nulla al valore calcistico di Gianluca.
Sai quante se ne potrebbero raccontare: dall’esperienza al Chelsea, alle iniziative di solidarietà per l’Ospedale Gaslini; dalle partecipazioni in Tv, fino all’abbraccio eterno con l’amico Mancini, neanche due anni fa, a Wembley, quando portarono l’Italia a vincere gli Europei.
Vialli è stato tutto questo, e altro ancora. Riccioluto o completamente rasato, il suo volto sorridente e sornione è uno dei motivi per cui oggi siamo ancora qui, in tanti, ad amare il calcio e a soffrire insieme ai suoi campioni.
Marco Sicolo – Bgame News