Dopo due stagioni fuori dai playoff, il talento di Curry e le strategie di coach Kerr regalano a San Francisco il quarto titolo di questa dinastia, il settimo nella storia della franchigia
Si dice che l’importante non sia non cadere mai, ma sapersi risollevare. Ed è esattamente ciò che è riuscita a fare San Francisco, dopo aver mancato i playoff per ben due stagioni consecutive.
Due anni fa, addirittura, i Warriors erano risultati la peggiore squadra dell’anno, con sole 15 vittorie all’attivo, in una stagione ridotta per via della pandemia.
Ancora all’inizio di quest’anno, nessuno avrebbe puntato su Golden State, pur sapendo che l’annoso stop per infortunio di Klay Thompson era destinato a risolversi.
Oggi, invece, proprio Thompson è uno dei cinque uomini che possono vantarsi di aver vinto tutti e 4 i titoli di questa recente dinastia californiana, insieme ai compagni di squadra Andre Iguodala, Draymond Green e Steph Curry, stella assoluta della squadra, e all’allenatore Steve Kerr, che con questo titolo si consacra come uno dei migliori coach della storia del campionato.
5x champ as a player and now 4x NBA CHAMPION as a Head Coach… Steve Kerr! #NBA75 pic.twitter.com/jMGJzUnZKK
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I nove titoli di coach Steve Kerr
Kerr è ormai una figura di riferimento nell’universo NBA: già cinque volte vincitore dell’anello da giocatore, adesso può vantare anche quattro titoli come coach. Ma lui non perde l’umiltà: “Il segreto è circondarsi di superstar”, dice con troppa modestia, “se stai vicino a loro lungo il percorso, anche tu raccoglierai dei successi”.
Quando aveva le scarpette ai piedi, era apprezzato come guardia tiratrice, e proprio per questo fu chiamato nel ’93 a sostituire niente meno che sua maestà Michael Jordan, quando questi si ritirò, sorprendentemente, al culmine del suo primo triennio vincente con i Chicago Bulls.
Non si può onestamente dire che Kerr non lo fece rimpiangere: i Bulls vissero un biennio di transizione, prima che MJ tornasse dal letargo per regalare a Chicago un nuovo triennio da sogno, ma nel 1997 all’attuale coach dei Warriors toccò l’onore di infilare in prima persona il canestro della vittoria nella partita decisiva, “perché Jordan non se la sarebbe sentita, di provare quel tiro”, scherzò.
Poi l’avventura a San Antonio e altri due titoli conquistati con gli Spurs, prima di intraprendere la carriera di General Manager a Phoenix e poi di allenatore a San Francisco.
Nel 2015, primo tentativo, primo centro: Kerr è uno dei pochi coach ad aver centrato il titolo al primo colpo, da rookie, come si dicono gli americani. Un titolo che aprì la strada a un ciclo vincente fatto di cinque finali consecutive di cui tre vinte.
Un ciclo che oggi si riapre, dopo una breve interruzione, per mettere in bacheca il trofeo numero 4 di questa clamorosa dinastia.
La dinastia dei Golden State Warriors: quattro titoli e sei finali in otto anni
Sì, perché di dinastia si tratta, alla stregua proprio dei Bulls anni ’90 o degli Spurs di inizio millennio. Lo zoccolo duro c’è sempre, anche se con qualche correttivo. Se i primi tre titoli erano arrivati anche grazie a Kevin Durant, poi andato via, oggi ci sono comunque quattro giocatori che possono fregiarsi di aver vinto tutti e quattro i titoli sotto la guida di coach Kerr, e di averlo fatto da protagonisti.
Iguodala, che fu anche MVP delle Finals nel 2015; Thompson, tornato a dettare legge dopo due anni e mezzo lontano dal parquet; e quel fenomeno di Steph Curry, finalmente nominato MVP delle Finals al termine di questa strepitosa serie contro i Boston Celtics, in cui ha avuto un solo passaggio a vuoto in gara-5, ampiamente riscattato dai 34 punti decisivi in gara-6, con la precisione ritrovata nei tiri da tre punti, il suo marchio di fabbrica.
Goodnight from Boston. pic.twitter.com/O6tqDGv6mB
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“È un titolo diverso dagli altri tre”, reclama Steph, e gli fanno eco i suoi tre compagni di sempre. Perché questi Warriors non hanno viaggiato sull’onda dello strapotere e della fiducia che ti danno cinque finali consecutive, ma hanno dovuto combattere contro i demoni dell’insicurezza e della rabbia di non riuscire a esprimere più il proprio potenziale.
Ne sono usciti con la forza del gruppo, con la coesione tra i campioni in cerca di riscatto e quelle seconde linee che solo un coach come Kerr, che seconda linea lo è stato per tanto tempo, può riuscire a valorizzare a dovere, tirandone fuori il meglio.
I Warriors al settimo titolo in NBA, il quarto per Curry e compagni
Con questa vittoria, quella dei Warriors diventa in assoluto la terza franchigia più vincente di sempre, conquistando il settimo titolo in assoluto e staccando, così, i Chicago Bulls, fermi ai sei titoli conquistati sotto Sua Leggerezza Jordan. In testa all’albo d’oro, così distanti e così vicini tra loro, ci sono i Los Angeles Lakers e i Boston Celtics, con 17 titoli ciascuno (con 15 finali perse per i gialloviola e solo 4 per i Celtics).
I primi due titoli dei Warriors arrivarono quando la franchigia aveva sede ancora a Filadelfia, sulla costa orientale degli Stati Uniti, nel 1947 (nel campionato inaugurale: i Warriors sono una delle sole tre franchigie ad aver disputato tutte le stagioni NBA, insieme proprio ai Boston Celtics e ai New York Knicks) e nel 1956.
Poi il titolo del ’75, il primo dopo il trasferimento a San Francisco con il nome di Golden State, in onore della California, lo Stato della febbre dell’oro di metà ‘800.
E infine questo magico poker, di un gruppo irripetibile che non vuole certo fermarsi qui: “Vogliamo sempre competere al massimo livello, ogni anno”, dice Draymond Green, decisivo nelle fasi difensive della squadra, quest’anno.
Un successo nel segno del gruppo, insomma, e sono le parole di coach Kerr a certificarlo: “Eravamo pieni di incognite, ma si è creato un grande gruppo attorno a chi era già qui da anni. Nel basket vince la squadra, e noi lo siamo”.
Marco Sicolo – Bgame News