La cintura conquistata dal pugile nel leggendario Rumble in the Jungle del ‘74 è stata acquistata per oltre 6 milioni di dollari dal miliardario Jim Irsay
C’era una volta il Museo d’Orsay, e oggi, invece, c’è la Collezione Irsay. Dove non si ammirano i capolavori di Van Gogh e Cézanne, ma memorabilia altrettanto affascinanti, legate al mondo della musica, dello sport e della cultura americana e acquistate qui è là, a suon di verdoni, dal filantropo Jim Irsay, facoltoso imprenditore e proprietario della squadra di football americano degli Indianapolis Colts.
La sua collezioni comprende autentiche rarità, come il mantello glitterato di James Brown, le chitarre di David Gilmour e Kurt Cobain, alcuni manoscritti di Abraham Lincoln e una lunga serie di guantoni, figurine e palline da baseball firmate da grandi campioni.
Da oggi, accanto a questi cimeli figurerà un pezzo davvero pregiato: la cintura di campione del mondo (ri)conquistata da Muhammad Ali nel 1974, al termine del leggendario incontro contro George Foreman in Africa, un evento passato alla storia come il Rumble in the Jungle, la rissa nella giungla.
La cintura è stata battuta all’asta per oltre 6 milioni di dollari, andando molto vicina al record di vendita per un oggetto legato al mondo dello sport, stabilito pochi mesi fa dalla maglia della Mano de Dios di Maradona, altro campione immortale.
La cintura di Ali acquistata all’asta per 6 milioni di dollari
Il Rumble in the Jungle è uno degli eventi più importanti della storia dello sport, un incontro che, come pochi altri, ha contribuito ad alimentare il mito del pugile statunitense.
Ali aveva perso la cintura di campione sette anni prima, nel 1967, quando gli fu ritirata la licenza di combattimento a seguito del suo arresto, dovuto al rifiuto di arruolarsi per combattere in Vietnam.
Era obiettore di coscienza, era per la parità di diritti, era contro ogni discriminazione: questo era Muhammad Ali, nato Cassius Clay prima di convertirsi all’Islam. Questo era lui, e per i suoi ideali sacrificò gli anni migliori della sua carriera.
Tornò nel ’71, ma fu sconfitto. E fu sconfitto di nuovo due anni dopo, quando aveva già superato la soglia dei trent’anni. Nel frattempo, nel pugilato si era fatto strada un giovane fenomeno di nome George Foreman, che nel fiore dei suoi venticinque anni vantava il titolo di campione del mondo e un record di 40 vittorie e zero sconfitte, una macchina da guerra da cento chili e un metro e novantatré di altezza.
Rumble in the Jungle, il leggendario incontro tra Ali e Foreman
Non aveva speranze, Ali, contro quell’avversario più giovane, rampante e vigoroso oltremisura. Non aveva speranze neanche per i bookmakers, che di boxe ne sanno qualcosa, e che davano la sua vittoria tre volte meno probabile di quella del suo rivale.
E allora, lui, giocò d’astuzia. Si rifugiò spalle alle corde, nascose la faccia dietro i suoi guantoni e lasciò che l’avversario sfogasse la rabbia dei suoi colpi sulle sue braccia, sul suo corpo, sulle spalle. Ali lasciava che le corde assorbissero la violenza dei colpi subiti, e aspettò che Foreman si fiaccasse, per lo sforzo e per il caldo asfissiante di Kinshasa, Zaire, Africa centrale.
E la stanchezza arrivò, per il suo rivale, e lui non ebbe pietà. Sempre meno forti i colpi di Foreman, sempre più tempestosa la reazione di Ali. Fino all’ottava ripresa, quando l’altro va giù, e lui si riprende, finalmente, ciò che gli era stato tolto, e che gli appartiene di diritto: perché non c’è asta che tenga, quella cintura sarà sempre la sua.
Marco Sicolo – Bgame News