Alla vigilia degli US Open di golf, gli Stati Uniti sono sul piede di guerra contro i campioni che hanno scelto la ricca Super Lega araba
Che piaccia o no, lo sport non è solo un pallone che entra in rete o una pallina che si infila in buca. Arrivati a un certo livello, lo sport è un affare, anche per chi lo pratica.
Sta facendo scalpore, nel mondo del golf, la scelta di molti campioni di primo e primissimo piano di accettare le lusinghe della neonata lega araba e abbandonare il circuito professionale americano PGA, che fino ad ora ha detenuto una sorta di egemonia a livello mondiale. Abbandonare è proprio la parola giusta, perché la PGA ad essere tradita non ci sta: chi partecipa a gare organizzate con i soldi arabi viene estromesso dal circuito statunitense, nonché, in termini pratici, marchiato a fuoco con la bolla di mercenario.
La nuova LIV, la lega araba del golf in concorrenza con la PGA
La storia è questa: l’Arabia Saudita, Stato come noto smisuratamente ricco, ha destinato una discreta somma dei propri fondi di investimento pubblico alla creazione di una propria lega di golf, con l’obiettivo di coinvolgere grandi campioni e organizzare grandi tornei in tutto il mondo, per guadagnarsi una vetrina importante anche in questo sport e fare concorrenza, appunto, alle storiche leghe internazionali, in primis la PGA.
Come riuscire in questa titanica impresa? Sborsando un’indecente quantità di quattrini, e come altro se no.
Del resto, abbiamo visto cose analoghe anche in altri sport, come dimostrano, nel calcio, le spendaccione proprietà del Paris Saint Germain in Francia e del Manchester City in Inghilterra, che fanno capo, rispettivamente, al Qatar e agli Emirati Arabi Uniti.
Per quanto il piano arabo non brilli di originalità, il vecchio odore dei soldi mantiene sempre il suo fascino, e le adesioni dei vari campioni di golf contattati dalla nuova organizzazione non sono tardate ad arrivare.
Nomi altisonanti, come l’ex numero 1 del mondo Dustin Johnson o la leggenda del golf a stelle e strisce, Phil Mickelson, hanno detto subito sì, yes, na’am, come dicono da quelle parti: e certo, perché al primo hanno offerto 150 milioni di dollari e all’altro addirittura 200, e come si fa a dire di no?
Eppure, oltreoceano un “no” l’avrebbero gradito eccome (e pare che qualcuno l’abbia detto, come il mitico Tiger Woods). L’avrebbe gradito la PGA, che vede improvvisamente barcollare il proprio dominio di tradizioni – e di dollari – sull’universo del golf. E l’avrebbe gradito la gente, pare, o almeno quanti non vedono certo di buon occhio una simile collaborazione con uno dei Paesi rivali, economicamente e politicamente, degli Stati Uniti. Come ha argutamente titolato la Gazzetta dello Sport, è davvero iniziata una sorta di Guerra del Golf, tra Stati Uniti e paesi arabi. Al posto delle armi ci sono mazze da golf, al posto delle munizioni solo palline bucherellate, ma è in gioco tanta roba: prestigio, immagine e, sì, tanti, tanti soldi.
Phil Mickelson, Dustin Johnson e gli altri campioni nella lega araba
La nuova lega araba di golf si chiama LIV, e si propone senza modestia di portare il golf a un altro livello. Visitando il suo sito ufficiale, si viene accolti da una frase a caratteri cubitali che è tutto un programma: “Golf, ma più forte”.
Più spettacolo, più divertimento e soprattutto più denaro per i vincitori: 25 milioni di dollari di montepremi ad ogni appuntamento, 4 solo per il vincitore, e una formula di gara innovativa.
I giorni di gara non sono più quattro ma tre; le buche complessive (18 al giorno) passano, quindi, dalle classiche 72 a 54 (cinquantaquattro, “LIV” in numeri romani: da qui il nome della lega).
A capo dell’organizzazione è stato collocato un vecchio marpione del golf, l’australiano Greg Norman, detto Lo Squalo, che con i suoi buoni uffici è riuscito già a convincere diversi campioni di primo livello a partecipare alle gare del nuovo circuito. Oltre a Johnson e Mickelson, fanno già parte della LIV anche Sergio Garcia, Lee Westwood e Bryson DeChambeau, uno che ci mette un secolo a decidersi prima di tirare un colpo, ma che ci ha messo un attimo ad accettare i cento e passa milioni di dollari che gli hanno offerto in Arabia.
A tutti i golfisti che prendono parte ai tornei della LIV è stato fatto divieto di partecipare ai tornei PGA. Anzi, c’è stata una vera e propria esclusione dal circuito. Il dado è tratto.
US Open, la resa dei conti tra i campioni PGA e quelli della LIV
Il primo torneo del circuito finanziato con i soldi del Tesoro sovrano arabo si è disputato nei giorni scorsi a Londra e l’ha vinto il sudafricano Charl Schwartzel. I prossimi tornei LIV, invece, si disputano proprio negli USA, in Oregon, nel New Jersey e poi a Boston: insomma, in casa del nemico.
Ma prima c’è un appuntamento ancora più stuzzicante, che ha il sapore della resa dei conti: lo US Open.
Lo US Open è uno dei quattro major del golf, e quest’anno si disputa a Brooklyne, in Massachusetts. Come gli altri tre tornei principali, lo US Open non fa capo alla PGA, e quindi può decidere autonomamente se ammettere o meno i “dissidenti” alla propria competizione. E, almeno per quest’anno, il permesso è stato accordato, o meglio, non c’è stato alcun divieto.
Quindi, questa settimana i fairway del Massachusetts saranno teatro di un incontro ravvicinato tra chi è rimasto fedele al circuito di casa (o semplicemente non ha ricevuto offerte dagli arabi) e chi invece ha compiuto il grande passo.
Lo scontro, come immaginabile, è cominciato ancora prima di scendere in campo: in conferenza stampa, il veterano Mickelson ha dovuto rispondere a un fuoco di fila di domande scomode, che spaziavano dall’11 settembre al caso Khashoggi (il giornalista dissidente arabo, morto in circostanze controverse), fino a dover subire l’accusa di aiutare lo stato arabo nella sua attività di sportwashing, cioè l’utilizzare lo sport per ripulire il denaro e rifarsi un’immagine di fronte al mondo.
Risposte vaghe, toni placidi. Ma perché sorprendersi così? Sono professionisti, guadagnano giocando a golf, l’hanno sempre fatto. E purtroppo il potere dei soldi è stato sempre quello di riuscire a far mettere da parte qualche ideale. Una cosa triste, forse del tutto sbagliata: ma quanti riuscirebbero a dire di no?
Marco Sicolo – Bgame News